Conversazione con Francesco Grandi, studente

Francesco è un ragazzo di 19 anni. Da due ha lasciato il liceo classico e studia e vive a Brockwood Park School, in Inghilterra. Un cambiamento forte e ancora più complesso per un adolescente, una scelta coraggiosa per non arrendersi a un sistema scolastico e a modalità “pedagogiche” che lo allontanavano da se stesso.
Ci ha raccontato la sua esperienza personale e illustrato un modello diverso di scuola, un approccio educativo sostanzialmente più rispettoso e in grado di fargli scoprire cose essenziali, ciò che più gli è utile nella vita, da cui tutti possiamo imparare qualcosa.

E’ un’esperienza completamente diversa dalla scuola in Italia, in primo luogo perché questa è una scuola residenziale, e viverci dentro cambia tanto il modo di relazionarsi agli altri, poi è diverso il modo di insegnare. Non è facile, ci sono sicuramente molti momenti belli ma mi ci è voluto tanto impegno, imparare una borckw3333lingua che non conoscevo bene, riuscire a gestire la mia vita senza separazione, qui non finisco la scuola e vado a casa. Ero abituato a una grossa differenza fra la mia vita a scuola e quella a casa, qui invece è un tutt’uno, la mia vita privata si svolge sempre nella struttura.
C’è da dire che non è una scuola come le altre, ho sentito l’esperienza di ragazzi in altri istituti in Inghilterra, sempre residenziali, e mi hanno parlato di una grossa competizione fra gli studenti, molto controllo da parte degli insegnanti. Qui la cosa bella è che la scuola ti lascia la libertà di capire che cosa è giusto o cosa è sbagliato per te, con dei limiti naturalmente. Vieni incoraggiato a essere più adulto, anche se non lo sei completamente, un po’ ancora sei ragazzino. E’ un grande merito di questa esperienza, ma richiede impegno e stanca, e per fortuna arriveranno le vacanze.

Mi chiedo se fuori da Brockwood, relazionandomi io in modo diverso agli altri non accadrebbe la stessa cosa. Lo vedrò in futuro. Intanto sto imparando modalità nuove e penso che poi me le porterò anche fuori e mi sperimenterò.
Credo che tanto di questo sia dovuto al modo in cui veniamo considerati.

Mi sembra che la cosa che apprezzi molto e ti è utile è la modalità relazionale, l’essere considerato non solo come studente ma come persona.
Decisamente. Innanzitutto si viene trattati in un modo molto meno autoritario, per cui si ha meno paura di mostrarsi, essere se stessi, dire cosa pensi, anche quando si studia e si discute di ciò che si è imparato dalla lezione. E così anche fuori dalla classe, fra i compagni di scuola ma anche con gli insegnanti, molti di loro abitano nel campus per cui ci relazioniamo con loro in momenti diversi, e li incontriamo a un livello più alla pari.

maxresdefaultPortate avanti una vita comunitaria, farete insieme diverse attività anche non didattiche immagino.
Sì, alcune cose più piacevoli. Vediamo film insieme, facciamo escursioni. Ma quotidianamente la scuola ha anche delle attività di autogestione, non c’è uno staff che si occupa delle pulizie, della cura del luogo, a parte lavori di manutenzione più specialistica. Siamo noi che ci occupiamo di pulire, del mantenimento anche delle aeree intorno agli edifici e questo ci permette di legare di più fra noi e con il posto stesso, ci dà un senso di rispetto maggiore, niente è scontato o da pretendere.
Facciamo attività all’aria aperta, giardinaggio, lavoro nell’orto, impariamo a orientarci nello spazio.
Sono molto importanti due ore di dialogo, lo sport. Tutti questi sono considerati insegnamenti obbligatori.
Se tu avessi un progetto scolastico personale da portare avanti potresti farlo, e non seguiresti queste lezioni, in quel caso gli insegnanti sono comunque attenti a seguirti mentre tu ci lavori in modo indipendente.

Brockwood è stata creata da Krishnamurti perciò i fondamenti della filosofia educativa sono nei suoi insegnamenti. In che modo la sua figura è presente? Viene proposto uno studio approfondito del suo lavoro?
Nelle due ore di dialogo, a cui ti accennavo, spesso prendiamo spunto dai suoi scritti, dalle conversazioni con i suoi allievi o discorsi pubblici, per poi discutere insieme di quello che significano per noi le sue parole. La sua impronta si sente nel modo di vivere, si percepisce che la scuola è fondata sulla sua etica, ma non c’è una focalizzazione su uno studio del suo pensiero. E’ una differenza sostanziale rispetto a quello che succede in una scuola italiana, in cui tutto viene insegnato in forma teorica, viene inserito in un programma che diventa la cosa più importante, e bisogna seguirlo per passare un esame. Qui l’insegnamento è più esperienziale, discuti con gli altri e pensi per poter fare tuoi concetti non teorici che ti puoi portare nella vita.

Nella modalità didattica, cosa trovi più interessante e cosa meno?
La scuola italiana dà molta importanza a memorizzare. La prima cosa che ho dovuto fare entrando al liceo classico è stato imparare a memoria le declinazioni di latino e greco, non devi capirle. Solo se un giorno andassi all’università a studiare le lingue classiche, magari a prendere un master specialistico, capiresti il senso vero e metteresti le cose in relazione.
In questa scuola lo studio viene proposto al contrario.
E questo si vede sia a livello umano sia in classe, ad esempio durante le verifiche viene data più importanza al tuo modo di pensare, alla tua opinione, naturalmente non fine a se stessa, supportata da argomentazioni tue, collegamenti con fatti e altre conoscenze.
Poi proprio quest’anno c’è stato un cambiamento molto forte. Per tanto tempo e fino all’anno scorso una differenza fondamentale era nel mantenere in classe un clima più tranquillo, che sostiene la tua autosufficienza, che ti fa riflettere.
Si lavorava in gruppi piccoli, un massimo di quindici studenti, a volte con un rapporto studenti/insegnanti di due a uno, in cui il professore adeguava il suo lavoro alla classe, spiegava le materie e faceva lezione sempre lasciando grande spazio alle domande e al dibattito, senza mai giudicare l’intervento dei ragazzi, considerarlo non importante.
Ora è cambiata la direzione della scuola. Brockwood ha due presidi, uno si occupa della parte didattica, l’altro più di quella relazionale, di crescita, di come lo studente si ambienta. E’ stato sostituito il preside didattico e la persona che è subentrata ha fatto studi su metodi educativi diversi e ha voluto introdurre un approccio differente che credo abbia dei grossi pro ma anche dei contro, in realtà.
Quest’anno è stato ancora un banco di prova e probabilmente serve tempo per adattare il tutto a una differenza così forte. Ora l’allievo sceglie la materia che vuole studiare e l’insegnante gli viene assegnato. Nella stessa classe ci saranno 25-30 studenti con diversi docenti, in genere 4, che insegnano la stessa materia e cercano di seguirti un po’ più individualmente. Noi studiamo suddivisi in gruppi intorno a 4 tavoli diversi e gli insegnanti girano da un gruppo all’altro chiedendo alla persona mentre studia se ha bisogno di aiuto, di spiegazioni, se ha domande.
E’ interessante, da una parte funziona perché ti spinge a essere autosufficiente, capisci meglio cosa sai fare più da solo, cosa ti appassiona di più, oppure cosa ti interessa meno e non riesci a andare avanti senza essere più spronato. Dall’altra parte crea una grossa confusione all’interno della stessa classe, una ventina di persone parlano più o meno contemporaneamente, non è semplice concentrarsi né per gli insegnanti né per gli studenti.
Un altro cambiamento riguarda il fatto che mentre l’anno scorso venivano insegnate allo stesso modo le materie d’esame e quelle secondarie, quest’anno è stato chiesto di non concentrarsi così tanto sulle materie d’esame ma principalmente di individuare ciò che davvero ti appassiona e quindi di prepararti all’esame in quel campo che senti più adatto a te. Non sono ancora del tutto convinto che stia funzionando, è ancora presto per verificarlo.

boockw internoMi sembra un metodo che richiede una buona consapevolezza e la responsabilità di un rischio personale da parte dello studente, dentro confini molto ampi.
Sì, è vero. Personalmente non credo di averla vissuta come una cosa tanto difficile perché sono più grande rispetto alla media dei ragazzi. Vedo che l’età degli iscritti si sta abbassando, arrivano prima, per passare non più un paio d’anni, la parte finale del percorso, ma quasi tutto il liceo. Attualmente l’età media dei ragazzi è di 15 anni, alcuni ne hanno 13. Perciò penso che metta una certa pressione in un ragazzo molto giovane il capire la sua vera attitudine, cosa davvero vorrebbe fare.
Potresti scoprire, lasciandoti più flessibile, che alcune cose che pensavi non ti interessassero, invece ti avrebbero potuto appassionare se solo fossi stato più motivato a conoscerle meglio.
L’anno scorso gli insegnanti riuscivano a trasmetterti passione e interesse per gli argomenti. In questi ultimi cambiamenti molti professori sono andati via, o lo faranno a fine anno. Non trovandosi bene con questo metodo di insegnamento, hanno sentito di non  riuscire a dare quanto avrebbero voluto.

Questo apre una parentesi interessante anche da un punto di vista sociale e istituzionale, oltre che dare una bella testimonianza di coerenza. Non è pensabile in Italia che un insegnante, fra concorsi e precarietà, abbia realisticamente la possibilità di andare altrove se sente che quello che gli viene chiesto dove insegna non gli corrisponde.
Lo penso anch’io. Credo che un’insegnante in Italia possa trovare solo idealistica una possibilità di scelta del genere, forse sorriderebbe ironicamente. Non può permettersi di fatto di agire in questo modo.

Si potrebbe dire che lì quei principi di non autorità, di libertà espressiva vengono trasmessi a voi studenti ma sono garantiti anche ai docenti.
Sicuramente. Le linee guida su cui si fonda la scuola anche a livello etico vengono rispettate dagli allievi ma ancora di più questo viene chiesto agli insegnanti. Loro lavorano a Brockwood, eccezioni a parte, più a lungo di qualsiasi allievo e in 5-10 anni questo ambiente diventa parte della loro vita. Molti poi risiedono nella struttura, hanno mansioni specifiche sempre nella cura del luogo o sono responsabili degli studenti nelle ore non scolastiche.

Riflettevo sul fatto che le classi, così come dicevi che vengono formate, riuniscono studenti di varie età e le dinamiche relazionali sono più complesse. Non si studia solo con i coetanei. E’ così?
Infatti. Penso che i ragazzi maturino un po’ più velocemente. Vedo che i meno giovani desiderano andare verso quelli più grandi e rapportarsi allo stesso livello; dall’altra chi è più grande è spinto a essere più paziente, aperto a spiegare o aiutare l’insegnante a seguire i più piccoli.

Qui in Italia le difficoltà strutturali della scuola secondaria si ripercuotono sugli stati d’animo degli adolescenti e su tutta la loro vita. Si parla troppo spesso di test e indagine psicologica nel guardare lo studente e sembra, tristemente, che stia aumentando il ricorrere alla psicoterapia. Ascoltando il tuo racconto questo scenario mi sembra del tutto improbabile da voi.
E’ vero. Certo anche qui ci sono situazioni di attrito con gli insegnanti, fra studenti, come è naturale che sia nell’età adolescenziale, si è sempre sensibili verso l’autorità degli adulti. C’è però un’attenzione diversa a come un ragazzo sta, ma non per stabilire se è sano o meno sano, ma dal punto di vista della salute psicologica in modo più genuino.
Ho assistito a una conversazione fra una nostra insegnante e una esterna che visitava la scuola con la famiglia per valutare se farne parte l’anno prossimo. Veniva detto che questa scuola riesce a tirar fuori, anche in un ragazzo meno aperto, quello che lui è interiormente e a mostrarlo agli altri. Non so se questo possa esser vero per tutti, ma lo è certamente per me, ascoltando mi sembrava che queste parole avessero un senso reale, Brockwood è un posto che dà spazio a questa possibilità.
E’ vero che anche la ribellione qui è un’esperienza diversa, perché quando emerge c’è talmente una grande disponibilità a dialogare che non si arriva mai a un confronto più forte.
Certo puoi vivere questo quando torni in famiglia, con i genitori, con le figure autoritarie fuori dalla scuola. Qui invece non è frequente contestare, ad esempio qualcosa che ti viene detta. Ti chiedi piuttosto “perché ti è stata detta, perché non ti piace, cosa ti fa reagire in questo modo...”

C’è qualcosa della tua esperienza nella scuola italiana che ti manca, che credi potrebbe essere ingrata a Brockwood?
A volte penso che questo è un luogo molto privilegiato, che resta un po’ tagliato fuori dalla realtà. Incoraggerei un contatto più aperto verso l’esterno, con quello che succede fuori. Ovviamente lo si può fare anche ora, però è molto più facile rifugiarsi, rinchiudersi in questa situazione che è piacevole, positiva, senza i conflitti e i problemi che ci sono nel mondo. Qui si è al sicuro, si vive bene, i paesaggi intorno sono molto belli.
Ci sono sia insegnanti sia ragazzi che ci tengono a restare informati e più collegati con la dimensione sociale. La scuola è più orientata a favorire lo spazio interno, l’attenzione prioritaria è alla conoscenza di noi stessi, a dare spazio al nostro pensare, e non ci spinge a sapere, a preoccuparci di quello che accade nel mondo. Forse gioca un ruolo anche il fatto che è frequentata da persone economicamente privilegiate e l’ambiente tende a far stare protetti in una cerchia che comunica con poco interesse con fatti che riguardano una realtà  diversa.

Consiglieresti a un ragazzo italiano di fare questa esperienza?
La consiglierei, sicuramente fa bene, anche se non credo che sia adatta sempre. Penso che una persona debba essere in un momento della vita “giusto” per potersi aprire e poter stare in una esperienza di questo tipo.
Trovo positivo che la scuola dia la possibilità di venire una settimana, l’anno prima, per conoscere l’ambiente e farsi conoscere, ma in un modo che non è superficiale. Si hanno colloqui specialmente con i due presidi per capire se è la situazione adatta a te nel momento che vivi.

Come, in cosa ti ha cambiato l’esperienza di questi due anni?
In diversi modi, ma credo che la cosa principale sia stata appunto imparare ad ascoltare e a dare più importanza a quello che succede dentro di me, che sia un pensiero a livello razionale o una sensazione a livello emotivo. Ora dico: “ah... questo mi sta succedendo. Cerchiamo di capire perché, da dove viene, e di viverci insieme”, invece di fermarmi all’idea di quello che voglio senza capire che cosa significa per me.
Poi ho imparato tante cose più pratiche e anche questo mi piace.

 

 

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