Vorrei provare a raccontare due scenari che in questo periodo mi colpiscono e a volte si sovrappongono: quello del virus e quello dell’onda epidemica più generale che sta coinvolgendo tutti, anche chi non è fisicamente malato.

La prima cosa che cerco di capire quando raccolgo l’anamnesi di una persona è il perché la malattia, o la sintomatologia che riporta, si sia presentata proprio in quel momento della sua vita e non l’anno prima o berkeley 1918 fluquello successivo, oppure 10 anni dopo. Il più delle volte si riesce a trovare una o più cause scatenanti che hanno la funzione di fare emergere in maniera chiara e più o meno intensa, quello che era sottostante, ma non trovava ancora la necessità o la forza per manifestarsi.

Infatti, non tutte le cause emotive, climatiche o ambientali hanno lo stesso valore per tutti; molte persone riescono a metabolizzare eventi dolorosi come lutti, separazioni, conflitti o altro senza incorrere in manifestazioni fisiche. Oppure, il freddo e il caldo non scatenano in maniera indifferenziata una sintomatologia nella maggior parte delle persone. Occorre una suscettibilità individuale a esse, che naturalmente è peculiare di ogni individuo.

Così, quando è scoppiata l’epidemia, ho cercato di capire quale potesse essere la goccia che andava nella stessa direzione di uno squilibrio più collettivo. È vero che era già stata prevista una situazione come quella in cui ci troviamo, identificando addirittura l’agente pandemico, un Coronavirus (vedi Spillover di David Quammen, 2012, Ed. Adelphi), però è altrettanto vero che il famoso passaggio dal pipistrello al pangolino sarebbe potuto succedere un anno prima o fra 10 o 15 anni.

Una delle cose che mi ha colpito è il fatto che giungessero notizie che Whuan fosse la prima città cinese in cui fosse stato installato il 5G (da la Repubblica del 20 novembre 2019: le stime più generose prevedevano infatti che col 5G si sarebbe raggiunta una velocità di trasmissione di 50 Gbps (gigabit). Un tetto che il gruppo di Tafazolli dell’Università di Surrey ha spazzato via con un test condotto ponendo ricevitore e trasmettitore, entrambi sviluppati dal gruppo inglese, a una distanza di 100 metri: il download dei dati è risultato 65mila volte più veloce di quello ottenibile in media con le reti 4G).

Ne so troppo poco per parlare delle conseguenze che il 5G può avere sul nostro organismo e non voglio assolutamente ipotizzare che sia la causa di tutto questo; ma potrebbe essere la rappresentazione ultima di qualcosa di più complesso che l’ambiente circostante già esprimeva, la goccia che andava nella stessa direzione di una serie di stili di vita già precedentemente in atto e che hanno come comuni denominatori la velocità e la produttività.

Non si può non pensare a quanto tutto questo fosse evidente in ogni aspetto della nostra realtà. Abbiamo fatto della tecnologia la nostra icona, senza equilibrarla con la natura intesa nel senso più ampio del termine.

Nell’ultimo libro di Carlo Guglielmo, Nutrire il Futuro, Ed. Mediterranee 2019, che ha presentato a Firenze il 10 ottobre dell’anno scorso, viene scritto “La tecnologia è la vera forza fuori controllo che trascina il pianeta e la nostra specie nella sua corsa, il motore dello sviluppo economico e la creatrice dei nuovi modi di vivere. Porta all’estremo gli aspetti yin e quelli yang. Lo yang dell’accelerazione, della connessione e dell’efficacia nel trasformare la vita genera lo yin della frammentazione dell’esistenza, della realtà virtuale, dell’essere umano dall’ambiente e dalle proprie radici - biologiche, sociali e comportamentali - che in esso risiedono. […] La tecnologia non può essere arrestata, è profondamente parte della nostra natura. Ma lo yin che essa genera deve essere equilibrato dallo yang della consapevolezza, della responsabilità e cura di se stessi, delle relazioni umane, del contatto con la natura. Se non può essere arrestata, può incanalarla in direzioni il più possibili positive, non autodistruttive.”

In nessuna altra epoca c’è stato uno sviluppo così veloce, insostenibile per l’essere umano, che è governato da ritmi (respiratorio, circolatorio, endocrinologico, ecc…).

La velocità ha a che vedere con tutto quello che ha creato il terreno ottimale per lo sviluppo di questa epidemia: l’inquinamento dell’aria con polveri sottili, che oltre a infiammare le mucose respiratorie hanno permesso la trasmissione del virus anche per distanze più lunghe del previsto, i trasporti, che dagli aerei ai treni a alta velocità hanno permesso la sua espansione, gli allevamenti intensivi, che stimolano la crescita degli animali forzandoli con ormoni e antibiotici, che indeboliscono il nostro sistema immunitario oltre a fare crescere gli animali in situazioni estreme e disumane e a inquinare le acque, la deforestazione per creare maggiore spazio all’agricoltura e agli allevamenti, gli oggetti usa e getta e le plastiche, con conseguenze di materiali nella terra e nelle acque come se il mondo fosse un enorme cestino della spazzatura.

Il virus ha portato negli individui colpiti tosse secca, difficoltà respiratoria, estrema stanchezza, febbre più o meno intensa, difficoltà a espettorare e a stare in posizione eretta; molte persone hanno riferito di essere talmente stanche da non riuscire a fare un passo. Come se anche nell’organismo ci fosse un eccesso di Terra secca e arida che è andata a invadere un organo come quello polmonare e circolatorio non di competenza di questo Elemento (vedi i 4 Elementi della medicina ippocratica).

A livello circolatorio il tutto si manifesta con la presenza di micro-coaguli, Terra nel fluido, in alcuni distretti fra cui soprattutto quello polmonare o renale. A livello polmonare con mancanza di respiro, di ossigeno e con un tessuto che tende al collasso in quanto non ossigenato (Terra nell’Aria). Analogamente, nel macrocosmo manca ossigeno: non si è parlato in questi anni di distruzione del polmone terrestre?

Il tasso di deforestazione in Amazzonia è aumentato del 30% nell’ultimo anno e tra agosto 2018 e luglio 2019 ha raggiunto il picco più alto registrato dal 2008 (dai dati di Greenpeace). In Australia "gli incendi hanno percorso da ottobre a oggi circa 8 milioni di ettari di territorio tra New South Wales, Victoria, Sud Australia e Queensland - una superficie doppia di quella degli incendi del 2019 in Siberia e in Amazzonia combinati, e pari ai quattro quinti di tutte le foreste italiane” (Giorgio Vacchiano, ricercatore e docente dell’Università degli Studi di Milano).

Il significato delle malattie acute sia individuali sia collettive, per quanto riguarda la visione omeopatica, è legato alla loro funzione di decomprimere la pressione interna data da quelle croniche.

Siamo tutti consapevoli di come la diminuzione delle manifestazioni acute abbia portato a una maggiore comparsa di disturbi cronici non solo negli adulti e negli anziani, ma anche nei bambini. Dalle forme autoimmuni, che si fanno sempre più largo nella fascia infantile, alle neoplasie fino alle “semplici” allergie o ai disturbi neurodegenerativi, che aumentano di anno in anno. Considerare solo pericolose le malattie acute ci ha fatto inseguire la speranza di una loro scomparsa con una maggiore crescita di patologie croniche da una parte e dall’altra un maggiore spazio per altre forme microbiche che, quando non conosciute dal nostro sistema immunitario, possono provocare delle situazioni che sfuggono alla nostra pretesa di controllo e di onnipotenza. Mirko Gremek, storico della medicina, ha correlato lo spazio lasciato libero dalla scomparsa del vaiolo con il manifestarsi dell’AIDS; la giornalista scientifica Laura Spinney nel suo libro “1918 L’influenza spagnola, la pandemia che cambiò il mondo” mette in evidenza l’ultimo passaggio della peste in Europa con la comparsa della Spagnola, e di esempi se ne potrebbero fare altri, a beneficio di chi ama studiare la storia della medicina e le correlazioni fra una epidemia e un'altra.

Inoltre, sempre da un punto di vista omeopatico, il risultato dell’epidemia è quello di portarci all’opposto di dove siamo, nella situazione di base. Da tante relazioni, connessioni, attività, il più delle volte caratterizzate dal fare, dal riempire, piuttosto che di riflettere, ci ritroviamo allo stare da soli o in famiglia dentro le nostre case, senza muoverci, senza o con contatti ridotti, con molto tempo per noi. Da un pieno a un vuoto, migliorando però collettivamente l’ecosistema a tutti i livelli: l’aria più pulita, l’inquinamento migliorato, si vedono i cieli delle città, le acque più limpide, tornano gli animali in luoghi in cui prima erano scomparsi, si sono silenziate le guerre. Tutto questo nell’arco di pochissimo tempo. Ci credevamo ormai in una crisi ambientale senza precedenti e il virus ci ha fatto vedere le risorse di cui ancora disponiamo. Bisognerebbe però capire come ritornare a un equilibrio più a portata dell’essere umano, senza sacrifici di vite o di altro.

Un’altra domanda è: come se ne uscirà per quanto riguarda il nostro rapporto con il virus? Difficile dirlo, visto che è la prima volta che compare in questa forma e che ha mostrato di essere non così letale da autolimitarsi, come nel caso dell’Ebola. In quella situazione i sintomi erano così chiari e violenti che le persone o morivano o venivano subito isolate e quindi la trasmissione si interrompeva.

Invece, per altre forme virali più conosciute abbiamo dalla nostra parte il fatto di essere stati esposti anche nelle generazioni precedenti e si sono quindi formate delle differenze ereditarie che contraddistinguono un gruppo umano dall’altro per quanto concerne la resistenza alle malattie.

Nel caso del Coronavirus siamo davanti a qualcosa di totalmente nuovo con cui, per quanto ne sappiamo, non siamo mai venuti a contatto.

Inoltre, per altre forme più antiche, oltre alla conoscenza pregressa e quindi trasmissibile verticalmente, dai nostri avi a noi, c’era anche una protezione orizzontale, data da quelle persone che certe malattie le avevano fatte, e quindi avevano gli anticorpi e proteggevano chi ancora non si era ammalato (immunità di gregge). Le persone più adulte o gli anziani in questi casi schermavano le nuove generazioni. Ora, invece, sarà probabilmente l’opposto, saranno i più giovani che si ammaleranno in forma lieve o avranno una sintomatologia superabile alla peggio con aiuti farmacologici a difendere le persone più anziane o più deboli da un punto di vista immunitario.

L’immunità di gregge è un concetto molto antico che spiega anche l’andamento ciclico di alcune epidemie, in quanto per diffondersi, in genere, le malattie infettive hanno bisogno che nascano un certo numero di bambini, che quindi non abbiano ancora contratto la malattia, rispetto a quello degli individui che hanno già formato gli anticorpi.
Nella descrizione originaria di immunità di gregge, risalente al 1923 e poi 1930, la protezione sulla popolazione riguardava la malattia naturale. Questa protezione dura tutta la vita per la maggior parte delle malattie infantili, a parte la pertosse. Il concetto poi è stato ripreso in campo vaccinale, non considerando che esiste una notevole differenza fra i due ambiti, dal momento che la copertura indotta dai vaccini non dura tutta la vita, oltre a essere soltanto umorale e non locale.

Tutti i virus, come i batteri e i microrganismi, devono raggiungere un compromesso con il loro ospite, non possono eliminare tutte le persone con cui vengono in contatto perché anche loro morirebbero. Inoltre, passando attraverso differenti costituzioni, razze, sesso, stile di vita, luoghi ecc… mitigano probabilmente la loro virulenza e contagiosità in modo da arrivare a quello che si definisce una convivenza reciproca.

Sappiamo tutti che le peggiori epidemie nella storia sono a un certo punto passate e, pur circolando ancora il microbo responsabile, non si scatenano più come prima; basta pensare alla peste, o al colera, o alla stessa influenza spagnola. Non ci sono più le condizioni. Anche parlando di malattie come la peste, in cui è necessario un vettore intermedio che dal topo arriva all’uomo, benché continuino a esserci tanti topi e in alcuni paesi condizioni igieniche non ottimali, non si manifesta più.

Questo ci fa pensare come ogni epidemia abbia, tra le altre cose, una sua epoca di comparsa in relazione allo spirito di quel determinato periodo storico.

A noi è toccato un virus veloce che si intrufola e che mette in quarantena i sani oltre i malati, cosa che francamente non ricordo in altre epidemie.

Esistono poi, come accennavo all’inizio, le conseguenze dell’onda epidemica sulla popolazione generale. Un piccolo gruppo risentirà positivamente del ritiro, dello scendere in se stessi e non essere sempre al di fuori e della lentezza dei ritmi, ma la maggior parte verrà “contagiata” in modi differenti secondo la loro predisposizione.

L’ansia sicuramente la fa da padrona ormai, da quando è scoppiato il tutto, ansia per la salute, per il futuro, per la situazione economica, per la mancanza di relazioni, per la povertà.

E poi ci sono le sotto categorie al tempo del Coronavirus: come si partorisce, come ci si ammala di altro, come stanno i bambini più grandi privati di socialità, come le mamme e i padri, i nonni, gli amori a distanza, le persone senza lavoro, gli studenti, i senzatetto, la comunità afroamericana a NY che sembra essere la più colpita, mentre in Africa per il momento i neri si salvano, le persone nelle carceri, nelle case di cura, gli immigrati, le donne che in casa subiscono violenza... E si potrebbe andare avanti senza fine a toccare tutti gli aspetti del nostro vivere.

In tutto questo cosa può fare l’omeopatia? Preventivamente può aiutare a scegliere un ritmo e uno stile di vita più consono alla persona e eventualmente, qualora ce ne fosse bisogno, dare un rimedio che si avvalga delle sue caratteristiche e individualità per riequilibrare e andare a agire sui punti deboli aumentandone la reattività. Poi, nel momento della comparsa di una sintomatologia più o meno lieve, può identificare un rimedio, da una rosa che in questo periodo è stata scelta come la più corrispondente alle manifestazioni cliniche.

C’è stato un grosso lavoro di raccolta dati fra omeopati di varie scuole, che hanno dato vita a progetti diversi, che però in comune hanno portato al riconoscimento di un piccolo gruppo di rimedi che sono stati, almeno per questo periodo di tempo, i più utili nel risolvere i sintomi che si manifestavano nei soggetti sospetti o Covid positivi.

In tutta Italia, vari omeopati hanno supportato chi stava a casa con sintomi legati a questa infezione e hanno permesso a molte persone di non accedere agli ospedali, se non in caso di necessità, oltre a dare un aiuto telefonico per le varie problematiche correlate a questa emergenza.

La medicina omeopatica può anche aiutare a non considerare quello che stiamo vivendo come una guerra contro un nemico invisibile da abbattere, ma come una possibilità altra, una conoscenza di un avversario con cui prima o poi dovremo arrivare a patteggiare. Come il Globulo Bianco per produrre una riposta immunitaria verso una sostanza estranea, sia essa virale, batterica o tossica, deve attivare un processo di fagocitosi, per scomporlo e digerirlo prima di produrre gli anticorpi che gli permettono di superare l’infezione, così anche noi, a un altro livello, dovremmo scomporre quello che ci sta succedendo e trasformare il tutto affinché diventi qualcosa di nuovo, come la sintesi di un nuovo anticorpo.

Nel Simbolismo del corpo Annick de Souzenelle scrive: “L’avversario non ha altro scopo che suscitare nel GB il suo omologo senza il quale non potrebbe avvenire alcun processo di riconoscimento; infatti a nessun livello può essere riconosciuto all’esterno del vivente ciò che non è portato all’interno. Combattere contro è un’autodistruzione. Il Globulo Bianco è l’istruttore per eccellenza del fatto che ogni guerra dovrebbe essere spirituale. Attraverso il riconoscimento dell’altro si costruisce il primo tipo di risposta immunitaria, essa è innata, connaturale all’essere del Globulo Bianco, funziona per fagocitosi assimilando l’altro assorbe l’estraneo”.

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