Intervista a Rosanna Passione

Rosanna“Lavorare con il cibo fa toccare con mano il senso del rinnovamento continuo, ed è un modo concreto di riconoscere l'appartenenza al mistero della vita”

 

Come inizia la tua storia professionale?
A segnare l’inizio è stato l’incontro con la macrobiotica, che poi si materializzerà nella cucina; ero molto giovane e sentii di aver trovato qualcosa di bello, che mi dava la possibilità di riflettere sull’interconnessione fra tutte le cose; attraverso la filosofia macrobiotica, il cibo mi suggerì una più ampia visione del mondo, a me che al mondo da ragazza mi affacciavo.
Accorgermi di quanto sia un sostegno basilare al benessere, all’umanità e alla qualità della vita, e osservarlo in chiave di rapporti uomo/natura, è stata allora una grande scoperta.
Ho visto nel cibo uno strumento di forte collegamento con tutto il Creato; scoprire che le nostre scelte nel piatto non solo hanno un forte impatto su di noi esseri umani a tanti diversi livelli, ma influenzano e possono quindi proteggere e tutelare questa vita e questo mondo, mi è sembrata allora e mi sembra ancora cosa preziosa. Il nutrimento e ogni alimento sono un modo concreto di riconoscere l’appartenenza al mistero della vita, il senso del posto che noi vi occupiamo e di partecipare alla continua trasformazione circolare di spirito, materia, bellezza, energia vitale.
Questa visione mi ha affascinato all’inizio del mio percorso e ancora oggi mi cattura la compenetrazione di materia consistente con quella che è vera e propria “poesia” dell’energia vitale che si manifesta.
Il calarmi in questa lettura della realtà va oltre il piacere dell’intelletto che ricerca l’intelligenza delle cose, e diventa uno squisito strumento di vita, perché lavorare con il cibo fa toccare con mano il senso del rinnovamento continuo. Questa vastità di un corpo che siamo noi e gli alimenti che ci nutrono, fatti anche di energia e spirito, mi affascina e mi parla di un mistero immenso che il Creato riproduce in ogni elemento intrecciandolo alla vita.
 
Qual è stato allora il passo successivo del tuo percorso?
Avevo diciassette anni quando ho fatto i primi passi in cucina senza aver avuto mai prima un benché minimo interesse in materia di cibo. Ero venuta per caso in contatto con la macrobiotica, che a quel tempo, quasi trent’anni fa, era scenario di un forte dibattito all’interno della tematica della malattia.
Decisi di indagare meglio e andai a Boston a frequentare la scuola di Michio Kushi, che sembrava avere una formula più aperta e flessibile rispetto ad altri approcci alla macrobiotica. Feci esperienza di questa parte più terapeutica, toccando con mano la possibilità senz’altro affascinante di curare, alleviare il dolore altrui e ne sentivo il valore.
Ma a catturare la mia curiosità era principalmente la possibilità nuova che quella visione sembrava offrirmi: di conoscenza, di una nuova consapevolezza, il cibo come chiave di libertà, di scelta, con tutte le conseguenze che ne derivano, non solo per quanto più strettamente ci riguarda in materia di salute/malattia.
In quei miei anni di studio, parliamo dei primi anni ’80, e a seguire per quasi un decennio, la macrobiotica si imponeva nel campo della terapia contro il cancro, diffusa soprattutto negli Stati Uniti, dove anche alcuni personaggi famosi si erano curati attraverso la dieta creando un’eco mediatica molto forte anche da noi, rafforzando l’idea allettante che potesse essere uno strumento con cui influire su problemi sostanziali della salute, sulla sofferenza umana.
 
Ma tenevi sempre una sorta di attenzione critica in te mentre maturavi quell’esperienza...
No, non potrei proprio dirlo, io ero molto giovane e avevo forti ideali. Anche nella macrobiotica c’era un forte idealismo, che credo abbia anche un po’ forzato la mano perché per certi versi sembrava dare un senso di grande potenza, come se fosse possibile imbrigliare delle leggi naturali, per cui se una persona mangiava rispettando l’armonia Yin/Yang tutto avrebbe conservato in lei quell’armonia stessa.
C’era una propensione a portare molto all’estremo questa ideologia, e a fare della dieta macrobiotica una panacea. Anziché aprire a una ricerca di  equilibrio, perciò sempre mutevole, impossibile da tener fermo, diventava qualcosa di quasi dogmatico, certo e assoluto, perdendo quel senso di “possibilità” che per me è sempre restato l’aspetto più interessante e di respiro.
Il rischio, che purtroppo diventava modello reale, ancora oggi vissuto così da molti, era che una focalizzazione troppo centrata a conferire alla macrobiotica poteri e garanzie per una vita sana e una salute più “certa” finisse con il porre eccessivi limiti e negazioni a quella visione ampia e macrocosmica. Quelle promesse, fra un grande potere e la rassicurazione, si traducevano in necessità di restrizioni, e la morbidezza di un respiro più ampio poteva diventare durezza e preoccupazione quasi ossessiva. Quest’aspetto mi sembrava negare le fondamenta stesse di quel pensiero, ridurre la più ampia visione del mondo, che la macrobiotica suggeriva, a qualcosa di molto angusto e asfissiante.
Inevitabile poi che lo sforzo verso un’alimentazione così regolamentata producesse contraddizioni, e che quella fede teorica venisse spesso sconfessata nella pratica. Non può esserci vita vera in una teoria così assoluta. Non esiste una dieta perfetta, che possa andare bene per tutti. Non può esistere una dieta macrobiotica standard che possa risolvere tutti i mali. Da questa modalità e dall’asprezza delle sue contraddizioni mi sono sentita distante e ho ricercato nel mio lavoro valori, relazioni, significati che non possono per natura essere rinchiusi in nessun “modello” .
In linea di massima l’impostazione del paradigma macrobiotico è sicuramente valida e importante, trova riscontro nelle tradizioni di molte culture e ha stimolato anche ricerche scientifiche di grande interesse. Ma come sempre creare un “modello” può far dimenticare di porre al centro le esigenze delle persone.
Finita la formazione a Boston, dopo diverse esperienze lavorative e di studio nel campo della macrobiotica negli Stati Uniti, sono tornata in Italia e con mio marito abbiamo aperto il Centro macrobiotico Il Naviglio e l’Istituto Kushi a Milano. Sono seguiti anni molto fertili di esperienze e di scambio con molti compagni di lavoro e ricerca, e studenti.
Tuttora cucinare e insegnare mi assicurano quel respiro aperto e sempre rinnovato, la profondità e il calore dello stare in relazione e continuare a conoscere e incontrare, sono anche occasione di intima comunicazione. Alcuni principi della filosofia e dietetica macrobiotica restano nel mio lavoro come una bussola e spesso ho sentito il bisogno di integrarli con altre conoscenze.
Il cucinare per me racchiude la semplicità di gesti quotidiani e una radice di essenzialità per il sostentamento, ma svela anche la complessità dei tanti elementi che vi fanno parte: il cibo e la sua storia, la sapienza della trasformazione e della cottura, l’aspetto più spirituale della terra da cui sono nati quegli alimenti, ma anche la storia delle persone che li hanno coltivati, o che le stanno intorno in quel momento, l’attenzione e le cure che vi hanno riposto in quanti lavorano a garantirci il pasto, una rete infinita di elementi visibili e invisibili che compartecipano a quell’istante e a tanta ricchezza.
 
A fine novembre a PerCorsi ospiteremo insieme a te Francisco Varatojo, direttore dell’Istituto di Macrobiotica di Lisbona. E’ un progetto che anche tu hai voluto fortemente
Francisco ha fatto parte della cerchia degli studenti di Kushi, che con più trasporto avevano approfondito quegli insegnamenti; tornato in Europa anche lui ha continuato a sviluppare quello che tutt’ora è l’istituto di maggior rilievo per la macrobiotica in Portogallo.
Ci ha da sempre accomunati la sincerità di quella ricerca che era anche di crescita personale, non solo formazione, e ho apprezzato in lui quella sorta di onestà che traspare nel suo modo di proporre e di praticare questo tipo di insegnamento. Abbiamo potuto così costruire diverse opportunità di scambio e collaborazione in vari paesi. E’ nata un’intesa professionale che è diventata anche amicizia, su un comune approccio di umanità, di flessibilità, che con entusiasmo pone sempre l’aspetto umano al centro, usando la competenza essenzialmente come strumento di aiuto nella vita della persona che sta cercando risposte buone per se stessa.
Ho potuto constatare l’abilità di Francisco nell’approfondire durante i seminari questo aspetto della vita in quanto energia, l’alternarsi delle forze complementari di Yin e Yang che vengono trattate nei vari passaggi e quindi i 5 elementi (albero, fuoco, terra, metallo e acqua). Avvicinarsi a quel sistema di corrispondenze che è proprio della Medicina Orientale e trovare parallelismi con quella Occidentale, o fra gli elementi e gli organi, è estremamente affascinante. E’ avvincente per chi partecipa a questi corsi essere guidato ad attivare una sorta di dialogo reciproco e circolare, in cui ritrovare dentro se stessi quei 5 elementi che in genere ci limitiamo a vedere solo all’esterno. Tornando a quanto dicevo prima rispetto alla “poesia” fra significati più spirituali e concretezza, alla vita emozionale e più intimistica che si riversa fisicamente nel corpo, condivido con Francisco questa modalità di lasciarsene trasportare e la curiosità viva di conoscere e comprendere meglio le persone.
Conoscere e ascoltare Varatojo per chi ha seguito i laboratori teorico-esperenziali che abbiamo fatto a PerCorsi, in cui si è già iniziato a introdurre questi concetti, o per chi è attratto da questi studi per ragioni diverse, è anche un naturale passo di ampliamento, e di avvicinamento alle proprie tematiche alimentari, della salute e di sé. Francisco avrà modo in quei giorni di lavoro di utilizzare lo strumento della diagnosi, affinato in tanti anni di esperienze e consulenze personali, e di condividerne i rudimenti. Si imparerà ad osservare ciò che viene definito il qi dalla medicina cinese, ki in giapponese, la forza vitale, i mutamenti e i movimenti dell’energia in noi, e come imparare ad assecondarla, anche attraverso il cibo. La diagnosi è una lettura, che riguarda la persona nella complessità del suo essere; si avvale di tanti principi in grado di rintracciare nuove relazioni, a vari livelli, presenti nella sua vita.
 
C’è qualcosa che ti sentiresti di “augurare” alle persone che parteciperanno a questa esperienza con Varatojo e al nuovo anno di laboratori che sta per iniziare?
Auguro un arricchimento, che sia un’occasione di trovare qualcosa di nuovo che aiuti ad ampliare la propria vita. Un sovvertimento rispetto a certe modalità che seguono principi di sottrazione, anche rigida e indiscriminata, e di preoccupazione, sminuendo la forza di altri elementi vitali e curativi. Credo che una seria preoccupazione che qualcosa che mangi ti faccia male sia davvero più nociva di quella cosa stessa. L’atteggiamento è fondamentale: è soprattutto il modo in cui mangiamo ad essere importante.
Cucinare è per me una celebrazione della vita, un rituale di ringraziamento. In quell’arricchimento auguro a tutti di sentire questo senso di gratitudine.
 

Rosanna Passione è autrice di diversi articoli e di libri pubblicati da Terra Nuova Ed.
Conduce laboratori, in Italia e all’estero, rivolti a persone interessate a migliorare le proprie abitudini alimentari e abilità culinarie, e percorsi di formazione professionale.

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