Clara Usòn. 
La figlia.
Sellerio Edizioni, 2013. lafiglia

Quando si è malati nell’anima, malati di una malvagità che spinge in luoghi ad essa stessa inaccessibili, anche il modo di provare amore lo diventa. La persona più amata al mondo, una figlia nel nostro caso, è in realtà un’altra vittima. Perché è la cosa più naturale del mondo amare i propri genitori e fidarsi di loro, e non si può sostenere una verità tanto crudele, o un inganno così profondo per la fiducia tradita.
La narrazione di quest’opera penetra in molteplici dimensioni del dolore, partendo da quello più originario: un amore malato fra un padre patologicamente narcisista e la sua figlia prediletta, chiamata a occupare in modo insano tutto il suo mondo affettivo, proprio perché vissuta come riflesso di se stesso.
E questo trasmette alla bambina, poi donna. In questo solamente lei può credere, e si attacca a un’infantile immagine eroica del genitore, che in un mondo difficile, di conflitti, violenza e morte, si adopera con ogni intento per imprigionarla in tale idealizzazione. Approfitta di quell’amore figliare. Induce la figlia a ricondurre a lui il senso della propria vita e gliela ruba.
Ana ha ventitré anni, è bella, intelligente e l’aspetta una brillante carriera medica. È legatissima al padre, un rapporto intenso quanto esclusivo; su ogni parola di lui la figlia ha costruito il proprio carattere, la visione del mondo e l’intero progetto di vita: valori sociali e patriottici, carriera umanitaria, una famiglia e dei figli che celebrino il nome del generale Ratko Mladić.
Alla prima occasione di lontananza da casa, un viaggio con gli amici in Russia, Ana si scontra traumaticamente con un mondo diverso dal suo, così opposto e terrificante da essere inverosimile.
Eppure la ferita è stata aperta, il gioco manipolatore del padre si svela, e chi torna a casa è una persona cambiata, tradita, una esistenza distrutta.
Rinunciare alla sua vita potrà essere l’unico modo possibile per salvarne altre in pericolo? Sarà così grande e vero, alla fine e comunque, l’amore di suo padre da indurlo, addolorato, a fermarsi in quella sua atroce follia? Riuscirà a farsi ascoltare da lui?
A quanto ci dice la storia no. Mladić negherà anche questa verità, ancora oggi non riconosce il dramma e il gesto della figlia, non ha mai colto il suo tragico messaggio, continua a non ascoltare che la propria pazzia. E a negare, distruttivo anche della verità. Al contrario il “suo dolore” si trasformerà dentro di lui in un’ossessione ancora più grande, capace di generare la strage di Srebrenica, uccidere ancora, civili, bambini, oltre 8.000 musulmani, ricattare attraverso gli ostaggi.
Sappiamo che ogni racconto è un incontro unico e esclusivo fra chi lo scrive e chi lo legge. La narrazione è il luogo di quell’incontro, fatto di ogni potenziale suggestione, emozioni, paesaggi, attraverso la vita di coloro che lo abitano.
Nella struttura di questo romanzo, pagina dopo pagina, appaiono diversi elementi di simmetria.
Due le “voci” protagoniste, quella storicamente reale, interiore e personale, della figlia del boia e quella più esterna del personaggio di Danilo Papo, un ragazzo apparentemente poco affascinante e privo di uno spirito forte, che avrebbe voluto amarla.
Quella di Danilo è la voce che restituisce al lettore il lungo e difficile lavoro di indagine storica dell’autrice stessa, Clara Usòn.
Una presenza che piano piano avanza sempre più intensa offrendo uno sguardo crudo e dettagliato della cronaca ricostruita.
Anche accanto a lui la figura contraddittoria di un padre manchevole. Ma tanto è forte l’identificazione culturale e politica ricevuta da Ana, quanto insufficiente la risposta di questo padre davanti alla ricerca di identità di Danilo, “un ostali, uno straniero, né serbo né croato, né ebreo né musulmano”. Qualcuno che resta per sempre un visitatore forestiero, a cui non poter chiedere di baciare la bandiera. Un rapporto figlio-padre fatto di distanze e contraddizioni che però, in questo caso, possono anche far crescere.
Danilo-Clara ci presenta sarcastico la sua cronaca divisa in capitoli di una “galleria di eroi”: parte dalle origini con il principe Lazar, disegna le figure di Slobodan Milošević, Radovan Karadžić per chiudere con Ratko Mladić.
Eroi balcani tutti inclusi tra i criminali di guerra dei nostri tempi.
Due anime, padre e figlia, che si perdono, in cerca di “salvezza”: quella della figlia, distrutta da un dolore insostenibile, e quella di Mladić, che ancora oggi, vecchio e malato, recluso dopo una lunga latitanza e processato, continua a eludere la sua terribile responsabilità, alienato dalla sua stessa coscienza.
Ci risuonano le parole che Ana, non vista, ascolta da Peter, compagno di viaggio, a Mosca: <<Se mio padre fosse un bastardo di serial killer, io mi sentirei responsabile. Per ogni vita che salverà la dottoressa Ana Mladić, suo padre avrà lasciato dietro di sé migliaia di cadaveri.>>
Due percorsi narrativi, che si intrecciano e si espandono, prorompenti, nella storia collettiva del popolo di quella Jugoslavia sbrindellata, dopo la morte di Tito, in più comunità etniche e religiose (bosniaci, serbi, croati, musulmani...).
Due i grandi devianti inganni di un senso malefico dell’appartenenza: la razza e la religione.
Il lavoro di inchiesta e documentazione storica che la Usòn affronta con la sua competenza giuridica di avvocato, è mosso da un’indignazione sociale e umana che non ci risparmia certamente la denuncia della vile passività dell’Europa.
Vi si intreccia una sapienza letteraria, una scrittura elegante e apprezzabili riferimenti a Shakespeare a Joyce, allo scrittore Danilo Kiš (il nome di battesimo ci riporta non a caso al nostro Dani Papo coprotagonista) e soprattutto a Tolstoj, di cui usa in chiave metaforica il racconto “Dopo il ballo”, ancora una simmetria importante: un padre, dall’aspetto umile di uomo semplice, fa un giro di ballo con la splendida figlia, pieno d’orgoglio e di dedizione assoluta; la mattina seguente lo stesso uomo, in divisa da colonnello, urla senza pietà una punizione disumana per un prigioniero; il corteggiatore si disamora della figlia.
Così accadrà anche a Danilo.
Un romanzo ben scritto è un ottimo modo di avvicinarsi alla Storia, di conoscere avvenimenti, dinamiche sociali e gli uomini che la fanno.
I fatti narrati qui appartengono alla nostra contemporaneità, talmente vicini che ancora se ne vivono le conseguenze e gli irrisolti.
“La Figlia” è anche un libro sulla guerra e sulle uniche utilità che le possano essere riconosciute: il potere di uomini e donne folli e gli interessi economici, persino di intere nazioni.
Scrive l’autrice: <<Nella Jugoslavia in tempo di pace non sarebbe mai diventato generale>>.

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