terzo settennio"Amo gli adolescenti perchè tutto quel che fanno

lo fanno per la prima volta"   Jim Morrison 

 

L'occhio dell'ecografia comincia a scoprire se il nascituro sarà maschio o femmina già dalla 16^ settimana di gravidanza. Noi adulti siamo assai curiosi e vogliamo  dare un'identità più precisa a questo essere che si sta sviluppando, vogliamo già dargli un nome ed essere tranquilli rispetto al colore dei golfini da comprare o confezionare.
Quando si parla di anticipazione! Nella realtà dello sviluppo fisico, di là del colore dei golfini e della nostra fretta, un essere umano mediamente si connette con la propria sessualità, cioè diviene maturo per procreare un altro simile, solo dopo almeno dodici anni dalla nascita.
Per maturare la sessualità dunque, e giungere a quella che Rudolf Steiner definisce “maturità terrestre”, sono necessari anni e si potrebbe aggiungere che tutta l'educazione che precede questo traguardo ne dovrebbe tenere conto.
Se con occhio spassionato osserviamo un bambino, ci accorgiamo quanto egli sia profondamente occupato a costruire se stesso e ciò può avvenire in maniera armoniosa solo attraverso la cura e la protezione da parte dei genitori e degli educatori che, se hanno l'accortezza di non voler sempre spiegare intellettualizzando ogni piccola azione quotidiana, sono imitati ed amati dai bambini senza riserve.
Nei primi due settenni il   compito educativo dovrebbe limitarsi a far sì che possa giungere al bambino solo ciò che egli può essere in grado di “digerire”. In altre parole ci si dovrebbe adoprare affinché non ci siano interferenze anticipatorie in questo lavoro di crescita.
Dalla scienza dello spirito sappiamo anche che l'ambiente familiare che circonda il bambino, con le sue caratteristiche modalità di gestione del mondo dei sentimenti e delle emozioni, produce effetti formativi, o distruttivi, sulla struttura dei suoi organi (se pensiamo che un sentimento come la vergogna può causare una vasodilatazione dei capillari del volto, possiamo intuire che anche le altre esperienze emozionali hanno un'immediata se pur meno visibile risonanza a livello degli organi - e se questi sono in formazione, renderli funzionalmente sani o malati, e di conseguenza più o meno idonei a sostenere il libero esplicarsi della coscienza).
Una volta arrivati a produrre ormoni sessuali ”le jeux sont fait,rien ne va plus”: l'essere umano perviene ad una struttura fisica che da un certo punto di vista non subirà più ulteriori modificazioni, se non involutive,  dove invece, d'altra parte, ci sarà un costante rimaneggiamento ed evoluzione della compagine spirituale.
Jimi Hendrix, musicista scomparso nel 1970, nella sua canzone ”Room full of Mirrors”recitava:
“I used to live in a room full of mirrors/all I could see was me/ well I take my spirit and I smash my  mirrors/now the whole world is here for me to see/I said the whole world is here for me to see/now I'm searching for my love to be...”(Un tempo abitavo in una stanza piena di specchi/tutto quello che vedevo era me stesso/bene, ho preso il mio spirito e ho rotto i miei specchi/ora l'intero mondo è visibile per me/dico che l'intero mondo è visibile per me/ora sono in cerca dell'amore mio che sarà...).
In questa immagine a mio avviso, si può cogliere in   pieno il dramma e la meraviglia di un essere non più avvolto dal guscio dello sviluppo fisico.
Momento biografico grandioso, in cui l'anima, non più così legata alla costruzione degli organi, scopre di poter salire alle alte vette del piacere, della gioia, imbattendosi nella potenziale capacità di amare al punto di poter dar vita ad un altro essere umano, sperimentando anche gli abissi dell'introspezione e del primo, disorientante contatto con la solitudine, dove per qualcuno si affaccia il desiderio del non voler camminare in questo mondo, che appare così minaccioso ed illusorio, cercando di “riaggiustare gli specchi infranti”, come accade ad esempio nell'anoressia.
Il problema moderno è che visto che tutti siamo così   ansiosi che i nostri figli si sbrighino a crescere, loro ci contentano:per quello che possono.
Li vediamo infatti pervenire ad una maturazione fisica sempre più anticipata, e però di pari passo le qualità   interiori che dovrebbero essere in relazione con quest'evento, stentano ad affacciarsi e così spesso le note adolescenziali si prolungano nel tempo a dismisura.
Ciò che ribolle fisiologicamente nell'anima dovrebbe potersi appoggiare all'educazione ricevuta e quindi ad organi fisici ben conformati che non disturbino il lavorìo della coscienza, ma forse mai come nella nostra civiltà questo compito viene ostacolato con ogni mezzo.
Così questa aurora della libertà spirituale è oltremodo tormentata ed è bene che l'educatore non si illuda di poter arginare questo torrente in piena con misure autoritarie, punizioni, ricatti, divieti e direttive moraleggianti, che nella migliore delle ipotesi cadranno nel vuoto. L'adesione fiduciosa e in più gratuita del bambino è scomparsa per sempre.   
L'unica via che si apre a coloro che hanno la fortuna di fare un tratto di strada in compagnia degli adolescenti è una profonda, sincera spietata autoeducazione.
La prima richiesta è di poterci seguire in quanto  modello adeguato ma soprattutto coerente: si aspettano da noi la verità.
L'altra grande aspettativa é che ci chiedono ascolto e - cosa ancora più ardua - la piena fiducia al di là delle apparenze dove invece a seguito di questa iniziale e tumultuosa scoperta della relazione se stessi-mondo la reazione è ”mi travesto” - e da qui l'amalgamarsi con i coetanei (piercing, orecchini, tatuaggi e tutto ciò che possa far inorridire gli astanti).
Nonostante ciò: “Ascoltami!” e “aiutami a scoprire chi sono! se neanche tu che dici di volermi bene vedi chi io sia in realtà... chi altri potrà farlo se non tu? ”
Dovremmo portare nel cuore l'immagine che sì, il corpo fisico con i suoi ormoni è arrivato a completare una tappa dello sviluppo, ma l'anima è ancora assolutamente neonata per il suo compito terrestre!
Come tutti i neonati ha bisogno di calore, di amore e  nutrimento, che però non può più attuarsi nella forma che era sana per un bambino.
Amore, calore, protezione e nutrimento si devono poter esprimere in questa vigorosa decisione da parte dell'educatore di portare consequenzialità e coerenza nella propria biografia.
Avere accanto un genitore o un maestro che giorno dopo giorno cura amando la propria interiorità, non può non lumeggiare di fronte alla straripante capacità percettiva di un adolescente: la sua sensibilità ora spesso dolorante si accorgerà di essere accolta e imparerà ad accogliersi.


per approfondire….
R. Steiner, “Il sano sviluppo dell'essere umano”, ed. Antroposofica
R. Steiner,  “Antropologia”, ed. Antroposofica
Goebel-Gloecker, “La salute del bambino”,  Aedel edizioni, Torino
Johannes Bockemuhl, “La pubertà e le sue crisi” edizioni Liberi Studi

"Alla luce dell'antroposofia può essere chiamato senso umano xeria
tutto ciò che spinge l'uomo a riconoscere la presenza
di un oggetto, di un essere, o di un processo
in modo che egli sia autorizzato a situare questa presenza nel mondo fisico" 
Rudolf Steiner

 

E' mattina. Il suono penetrante e importuno della sveglia apre di prepotenza la porta del nostro mondo dei sensi attraverso l'udito.
Dove siamo stati fino a quel momento? Certo da qualche parte, in un luogo dove però la coscienza non si avvale dei sensi fisici, questo specialmente nelle lunghe pause di sonno senza sogni.
Ciò che di solito ricaviamo come memoria dalla notte è il sogno più o meno vivido, e anche in questo caso la coscienza sognante è pervasa di sensazioni, che comunque provengono da stati organici, da ricordi oppure da sensazioni esterne che si vestono, nel sonno, di immagini.
Il mondo che affrontiamo dal risveglio al nuovo addormentamento con la coscienza di veglia, è il mondo dei sensi, il mondo in cui la coscienza umana si lega e si  riflette nel mondo dei sensi fisici.
Detto altrimenti, tutto ciò che vive nella nostra coscienza terrestre usuale deve passare prima attraverso le porte dei sensi, per poi ricevere la successiva dovuta colorazione o elaborazione assolutamente personale.
Personale è anche la dotazione sensoriale:per esempio possiamo nascere con dieci decimi di vista, oppure con un deficit più o meno grave.
Dall'interazione dei personali talenti con le esperienze che collezioniamo,ma segnatamente con le prime esperienze nell'infanzia, dipenderà la particolare angolazione, cioè l'orientamento,l'ampiezza e la capacità di questi strumenti fondamentali.
Rudolf Steiner, attento osservatore della costituzione umana, ha scoperto altri sette sensi, oltre ai cinque usuali, e in più li classifica in tre gruppi, a seconda della loro funzione.
Egli ci indica come “sensi basali” quelli che utilizziamo per l'auto-percezione: non siamo coscienti di questa fedele e continua attività, ma in realtà è attraverso il  senso del tatto che ci delimitiamo in un sé corporeo.
Durante tutta l'esistenza poi, abbiamo la possibilità di percepire il benessere che proviene in modo semi-cosciente dalle profondità organiche: “senso della vita”.
Ci percepiamo anche attraverso il movimento, che non è solo quello degli arti... parlando eseguiamo complicate acrobazie con i muscoli laringei, ascoltando mettiamo in moto i piccolissimi muscoli che lavorano all'interno dell'orecchio. L'occhio è in una continua attività mediante i muscoli che lo circondano per mettere a fuoco gli oggetti. Tutto questo fa parte delle nostre percezioni:”senso del proprio movimento”.
C'è poi, nella vita della maggior parte dei bambini, un momento in cui, dopo mesi di strenui tentativi, riescono a mettersi in equilibrio sulle minuscole estremità. Momento grandioso in cui finalmente hanno a disposizione e libere le braccia. Il senso che ci conduce a tanto e che comunque mai ci abbandona, come del resto tutti gli altri, è il ”senso dell'equilibrio”.
I sensi basali sono quelli che ci consentono, in definitiva, di distinguere la nostra corporeità, oggetto in mezzo ad altri oggetti, come nostra "proprietà", fino a giungere all'identificazione; atto complesso e per niente scontato, che può verificarsi soltanto convivendo in    relazione con altri esseri umani, e in particolare imitando fedelmente la persona che ci accudisce.
L'essere umano appena nato non sa di se stesso. Per arrivare all'auto percezione sono necessari almeno tre anni di “serio” apprendistato. Primo segno esteriore di questa conquista è il pronunciare la parola "Io" e ancora di più, quando per la prima volta la sottolineiamo toccandoci la parte centrale del torace.
"Tramite il senso della vita l'uomo consegue sensazioni generali sulla propria corporeità; attraverso il senso del movimento percepisce variazioni nella corporeità; con il senso dell'equilibrio percepisce il suo rapporto con la spazialità... L'uomo percepisce con questi tre sensi il proprio corpo come un tutto che costituisce la base della sua consapevolezza di sè come essere fisico. Si può dire che con il senso della vita, il senso del movimento e il senso dell'equilibrio l'anima apra le porte nel bambino alla propria corporeità, percependola come mondo esterno a lei più vicino" (tratto da "Antroposofia")
Ma abbiamo bisogno anche di sensi (cosiddetti “mediani”) per distinguere le qualità della materia: così ci mettiamo in relazione con le particelle gassose tramite l'odorato, con il gusto ci avviciniamo e riconosciamo le qualità delle sostanze fluide.
La vista ci apre al mondo dei colori, e poi veniamo a   saperne ancor di più attraverso il senso del calore.
Gli ultimi quattro sensi, detti “superiori”, sono quelli che ci servono per entrare in relazione con gli altri esseri  umani. Primo fra tutti il senso dell'udito.
In realtà questo è il senso che sta a cavallo tra i sensi mediani e quelli superiori perchè ci fa scoprire i misteri più profondi della materia traducendo per noi il suono, ma in mezzo ai tanti suoni c'è quello della voce umana. E quando la voce umana compone parole e frasi, abbiamo un senso che giunge a svelarne la qualità: ”senso del linguaggio”. Questo senso ci indica “come” l'Altro ci parla.
La sensazione immediata del “cosa” stia dicendo è mediata dal “senso del concetto”.
Rudolf Steiner ci porta infine ad osservare ancora un altro senso: quello dell' ”io dell'altro”. Senso delicato, tenera pianta, che può, in talune difficili situazioni biografiche, venir portato a disseccarsi, tanto che si può giungere a non saper più comprendere l'entità umana che ci sta di fronte come ”io”, ma bensì come oggetto.
Perchè i sensi superiori si sviluppino in maniera sana, è assolutamente necessario curare con ogni mezzo quelli basali. Per un senso del linguaggio mobile bisogna aver potuto sviluppare elasticità nel senso del movimento.
Comprendere al volo la qualità di un concetto è possibile solo con un senso della vita sicuro di sé. E per il senso dell'io? Abbiamo visto che ad un certo punto della nostra esistenza giungiamo a toccare la parte centrale del torace, pronunciando la fatidica parola: IO.
Questo è il dono che l'intera compagine dei sensi ci affida. Latore del dono è il senso del tatto: l'esperienza tattile è l'esperienza determinata, se vi è una pressione, o indeterminata in assenza di stimoli pressori, del proprio limite corporeo. Dove batte il cuore, là sento il limite, il confine e dunque l'involucro del mio io. Solo con questa esperienza “basale” posso arrivare a percepire l'io di un altro essere umano, coronamento di tutto il mondo dei sensi fisici, il mondo dove la nostra coscienza di veglia vive.

“Se vogliamo comprendere il contenuto delle fiabe e leggende, anzitutto non dobbiamo ritenere che esse siano poemi scaturiti dalla fantasia del popolo. Esse non lo sonofiabamemoria mai. L'origine loro risale a tempi antichissimi, allorché gli uomini non erano maturati ad una civiltà razionale e viveva in loro una chiaroveggenza più o meno accentuata, residuo di una chiaroveggenza originaria. In uno stadio intermedio tra veglia e sonno, essi sperimentavano effettivamente il mondo spirituale nelle più   svariate forme. Non si trattava di un sogno come quello che abbiamo attualmente che, per la maggioranza degli uomini, è caotico. In tali antichi tempi questa veggenza era così normale che, in persone diverse, le esperienze erano eguali o almeno tipicamente simili”. (1)

L'ora di mettere a nanna i bambini si avvicina ed uno dei riti serali, prima di spengere la luce, è la lettura di una fiaba: magari, su pressante richiesta, sempre la stessa per un numero consistente di volte, quasi fosse una medicina.
Se, mentre leggiamo, riusciamo a concedercelo, possiamo sentire in quelle immagini un estremamente variegato, sonoro, caotico ma coerente serbatoio di esperienze, a cui dotte e temerarie interpretazioni fanno talora grande torto.
Il contenuto di quella fiaba, al di là del lieto fine, illumina zone misteriose dell'immaginazione, e anche il lettore, l'adulto, ne percepisce il contatto delicato, qualcosa che somiglia alla consistenza dei sogni, quei sogni belli di cui vorremmo tanto poter ricordare, ma che invece la luce e gli impegni della giornata subito cancellano.
Queste fiabe ”popolari”, quelle fortunatamente raccolte per esempio dai fratelli Grimm, o anche da altri autori, Italo Calvino uno fra tutti, da quale fonte scaturiscono? Qual è la loro origine ?
Certo si tratta di un patrimonio legato alla sensibilità dei nostri avi, ma quale contenuto di coscienza   viveva in loro, quale il loro rapporto con la realtà?
Domande come queste certo risuonano nelle ricerche degli antropologi, e molto è stato scritto e studiato. Spesso il contenuto di questi studi è attento e rispettoso, ma non è frequente l'ipotesi che l'uomo abbia potuto avere, nei confronti di questi elementi, tutt'altro rapporto che non quello attuale.
Il cammino evolutivo della coscienza ci ha condotti ad un frutto di inestimabile valore: l'autocoscienza, la coscienza puntiforme dell'Io identificato nella ristretta sede del corpo fisico, il poter dire “Io” a se stessi.
Modernamente e sovente si dà questo frutto per scontato, e lo si vorrebbe estendere come contenuto stabile della coscienza anche a uomini di altri tempi, oppure a nostri   contemporanei che ancora, e forse ancora per poco, abitano zone della terra in cui si vive in condizioni ataviche. Oppure ai bambini.
Rudolf Steiner ci suggerisce di volgere lo sguardo alle epoche di civiltà, mettendo a fuoco l'idea che nel passato l'uomo potesse essere ancora ampiamente chiaroveggente.
Dovremmo quindi ascoltare ciò che si narra nei i miti, nelle leggende, nelle fiabe, non semplicemente come il portato di una mente fantasiosa ed ingenua, ma bensì come resoconto di reali esperienze vissute anche se non necessariamente sul piano fisico-terrestre.
Questa ipotesi potrebbe tra l'altro gettare una diversa luce sulla estrema saggezza e conoscenza con cui si è potuto creare templi, piramidi, cattedrali... testimoni macroscopici e incontrovertibili di una diversa e più ampia capacità di interagire con la pietra.
In quest'ottica le fiabe sono il prezioso ultimo scrigno in cui gli uomini hanno potuto nascondere il loro sapere pratico, le loro acquisizioni spirituali, la saggezza, ovvero i reali nomi delle cose, seduti accanto al camino con il fuoco acceso, e in una forma accessibile a tutti, affinché rimanesse un segno.
Della chiaroveggenza atavica noi abbiamo dovuto perdere la memoria, proprio per poter giungere alla nostra scientifica, precisa coscienza puntiforme, a cui però, non dovremmo fermarci.
La sfida è di recuperare la memoria della saggezza, avendo cura, in questi tempi in cui molto gioca a sfavore, di non perdere l'acquisita autocoscienza, ma anzi, procedere in questa nuova terra proprio attraverso la coscienza dell'IO.

(1) tratto da “La poesia delle fiabe” p.43, Rudolf Steiner ed Antroposofica

 

FILIPPOLe generazioni che ci hanno preceduto vivevano seguendo modalità educative tramandate, che solo di rado e con difficoltà potevano essere messe in discussione.
Nell'affidarsi ad un sapere tramandato, intrecciate a un insieme di norme piene di amorevole saggezza, erano contessute regole prive di senso, o che l'avevano perso strada facendo, trasformandosi in vere e proprie violenze.

Il secolo appena trascorso ha voluto spazzar via le une e le altre, ma specialmente le prime, giudicate  antiquate e da sostituire con modalità più ”scientifiche”, razionali.
D'altra parte è pur vero che viviamo in tempi che necessitano di modalità educative adeguate ai profondi  cambiamenti con cui ci stiamo confrontando.
Che cosa potrebbe essere utile sapere? Come orientarsi nella nostra caotica epoca quando si voglia affrontare il difficile compito educativo?
“Chi é senza peccato scagli la prima pietra”.
Nella tradizione ebraica vi era la norma che per le adultere si procedesse alla lapidazione: una  legge che determinava un'azione a priori, benché insensata.
La vittima è lì, immobilizzata, e ci sarà qualcuno che, legittimato, si china per primo a raccogliere una pietra e la lancia. Altri, automaticamente, ne imitano il gesto: si deve fare così.
Nel caso citato viene offerta la possibilità che prima di agire si pensi, si sollevi il dubbio, si “tasti” interiormente la propria azione.
L'effetto è che un uomo si allontana per primo, poi gli altri lo seguono.
Il Cristo e l'Adultera restano soli sulla scena.
Questo tipo di prassi può aiutarci a prendere contatto con un elemento molto importante per la pedagogia moderna.
Ogni volta che mi devo accollare il peso di una decisione, di un “sì”o di un “no”, e specialmente se questa  riguarda un essere umano che ci è affidato, dovrei essere in grado o almeno provare a pensare, riflettere se in me agisca un automatismo o se pure io stia scegliendo in base ad un motivo cosciente, percepito come vero.
Le domande che ci poniamo a livello più o meno cosciente:
Che obiettivo mi pongo nei confronti dell'essere umano che a me si è affidato?
Cosa considero giusto, adeguato per il suo futuro?
Come posso fare il suo bene?
dovrebbero trovare sempre una risposta che sia consona a ciò che riteniamo giusto, buono, adeguato per lui.
Se questa è una nostra necessità, decidere senza ascoltare queste nuove leggi interiori, può portarci ad effetti che non  corrisponderanno alle nostre aspettative.
Per chi vuole scegliere in base a dei motivi, spesso lo scenario sociale risulta irto di contrasti. ”Si fa così perché lo fanno tutti”: se il nostro motivo non ha gambe robuste e la corrente dell'automatismo è molto potente è facile trovarsi a vacillare.
L'altro problema è costituito dal voler trovare modalità educative che ci appaiano sensate, efficaci. Ecco che ripescare negli aspetti sani della tradizione può venirci in aiuto.
Per esempio, l'essere attenti a far sì che un bambino possa accomodarsi nel binario dei ritmi quotidiani del sonno, del cibo, della cacca... in questo ambito i “sì” e i “no” non dovrebbero essere necessari, perché è un ambito in cui non siamo liberi di scegliere e dove dovrebbero campeggiare appunto solo ritmo e benessere.
Decidere per una nascita non ospedalizzata, nella propria casa.
O ancora: l'allattamento al seno, ora tornato parzialmente in auge, ma che presuppone un poco di conoscenza pratica, per la verità fortemente avversata negli anni dal dopo guerra: il risultato è che non si può più confidare nel sostegno delle donne più anziane, occorre farsi aiutare da chi abbia voluto tutelare il filo della memoria.

Quando poi si tratta di avvicinare il nostro protetto alle comunità infantili, ci troviamo ad incontrare il moderno dogma dell'educazione scolastica anticipata.
Esso in sostanza sostiene l'assoluta priorità del sapere intellettuale, non lasciando spazio a tutte le altre competenze umane.
Mettere in dubbio questo dogma è molto faticoso, perché anche noi siamo cresciuti all'interno di questo tipo di credo, e quindi tendiamo a dire ”sì” alla lettura del “librino” e magari ”no” ai pasticci delle prime pappe autogestite dal bambino, oppure ai tentativi di arrampicata sull'albero.
Scegliere un percorso educativo in cui si privilegi la magica attività che trasforma la materia in espressione piena di bellezza: l'arte e il lavoro manuale.
Privilegiare le abilità fisiche, l'equilibrio, il movimento sensato ovvero finalizzato, sono i nuovi “sì”così difficili da ottenere in questo tempo perché questo tipo di percorso comporta aver chiaro un programma educativo che tenga conto delle tappe di sviluppo dell'essere umano; pazienza, abilità e, al solito, profonda motivazione da parte dell'educatore e in più serve il  coraggio di affrontare la realtà fisica.
Confrontarsi con la realtà può anche comportare un margine di rischio, e d'altra parte sapersi arrampicare su un albero senza cadere, magari sbucciandosi un poco le ginocchia, significa sviluppare una serie di competenze rese ancor più preziose dalla coscienza del confronto con un pericolo che si sa come fronteggiare.
Questo è il contrario di ciò che avviene ad es. con i discutibili ed estremamente diseducativi “gonfiabili” di plastica, dove l'errore non comporta rischi, anzi, si può fare “come ci pare” senza danno, perché l'atterraggio è sempre e comunque attutito: l'apoteosi dell'irrealtà.

In questo mondo moderno il frutto prezioso dei”sì” e dei “no” in ambito educativo, scelti in base a motivazioni personali, è proprio la possibilità di crescere uomini capaci di sapersi tenere in piedi sulla terra e in grado di andare a propria volta verso l'elemento della libertà.

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