“Se vogliamo comprendere il contenuto delle fiabe e leggende, anzitutto non dobbiamo ritenere che esse siano poemi scaturiti dalla fantasia del popolo. Esse non lo sonofiabamemoria mai. L'origine loro risale a tempi antichissimi, allorché gli uomini non erano maturati ad una civiltà razionale e viveva in loro una chiaroveggenza più o meno accentuata, residuo di una chiaroveggenza originaria. In uno stadio intermedio tra veglia e sonno, essi sperimentavano effettivamente il mondo spirituale nelle più   svariate forme. Non si trattava di un sogno come quello che abbiamo attualmente che, per la maggioranza degli uomini, è caotico. In tali antichi tempi questa veggenza era così normale che, in persone diverse, le esperienze erano eguali o almeno tipicamente simili”. (1)

L'ora di mettere a nanna i bambini si avvicina ed uno dei riti serali, prima di spengere la luce, è la lettura di una fiaba: magari, su pressante richiesta, sempre la stessa per un numero consistente di volte, quasi fosse una medicina.
Se, mentre leggiamo, riusciamo a concedercelo, possiamo sentire in quelle immagini un estremamente variegato, sonoro, caotico ma coerente serbatoio di esperienze, a cui dotte e temerarie interpretazioni fanno talora grande torto.
Il contenuto di quella fiaba, al di là del lieto fine, illumina zone misteriose dell'immaginazione, e anche il lettore, l'adulto, ne percepisce il contatto delicato, qualcosa che somiglia alla consistenza dei sogni, quei sogni belli di cui vorremmo tanto poter ricordare, ma che invece la luce e gli impegni della giornata subito cancellano.
Queste fiabe ”popolari”, quelle fortunatamente raccolte per esempio dai fratelli Grimm, o anche da altri autori, Italo Calvino uno fra tutti, da quale fonte scaturiscono? Qual è la loro origine ?
Certo si tratta di un patrimonio legato alla sensibilità dei nostri avi, ma quale contenuto di coscienza   viveva in loro, quale il loro rapporto con la realtà?
Domande come queste certo risuonano nelle ricerche degli antropologi, e molto è stato scritto e studiato. Spesso il contenuto di questi studi è attento e rispettoso, ma non è frequente l'ipotesi che l'uomo abbia potuto avere, nei confronti di questi elementi, tutt'altro rapporto che non quello attuale.
Il cammino evolutivo della coscienza ci ha condotti ad un frutto di inestimabile valore: l'autocoscienza, la coscienza puntiforme dell'Io identificato nella ristretta sede del corpo fisico, il poter dire “Io” a se stessi.
Modernamente e sovente si dà questo frutto per scontato, e lo si vorrebbe estendere come contenuto stabile della coscienza anche a uomini di altri tempi, oppure a nostri   contemporanei che ancora, e forse ancora per poco, abitano zone della terra in cui si vive in condizioni ataviche. Oppure ai bambini.
Rudolf Steiner ci suggerisce di volgere lo sguardo alle epoche di civiltà, mettendo a fuoco l'idea che nel passato l'uomo potesse essere ancora ampiamente chiaroveggente.
Dovremmo quindi ascoltare ciò che si narra nei i miti, nelle leggende, nelle fiabe, non semplicemente come il portato di una mente fantasiosa ed ingenua, ma bensì come resoconto di reali esperienze vissute anche se non necessariamente sul piano fisico-terrestre.
Questa ipotesi potrebbe tra l'altro gettare una diversa luce sulla estrema saggezza e conoscenza con cui si è potuto creare templi, piramidi, cattedrali... testimoni macroscopici e incontrovertibili di una diversa e più ampia capacità di interagire con la pietra.
In quest'ottica le fiabe sono il prezioso ultimo scrigno in cui gli uomini hanno potuto nascondere il loro sapere pratico, le loro acquisizioni spirituali, la saggezza, ovvero i reali nomi delle cose, seduti accanto al camino con il fuoco acceso, e in una forma accessibile a tutti, affinché rimanesse un segno.
Della chiaroveggenza atavica noi abbiamo dovuto perdere la memoria, proprio per poter giungere alla nostra scientifica, precisa coscienza puntiforme, a cui però, non dovremmo fermarci.
La sfida è di recuperare la memoria della saggezza, avendo cura, in questi tempi in cui molto gioca a sfavore, di non perdere l'acquisita autocoscienza, ma anzi, procedere in questa nuova terra proprio attraverso la coscienza dell'IO.

(1) tratto da “La poesia delle fiabe” p.43, Rudolf Steiner ed Antroposofica

 

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