Articolo pubblicato su "Medicina naturale" - 23 marzo 2015
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omeopatiaL’omeopatia non è efficace per trattare alcuna condizione clinica. Questa la drastica affermazione del report “Efficacia dell’omeopatia per patologie cliniche: valutazione delle evidenze” stilato da Optum per il Working committee sull’omeopatia del National Health and Medical Research Council (NHMRC) incaricato dal Governo australiano di svolgere un’indagine sulle prove di efficacia dell’omeopatia, così come è apparsa sui giornali. In realtà il report del NHMRC australiano sostiene che non esiste una sufficiente dimostrazione di efficacia del trattamento omeopatico, cioè gli studi clinici analizzati non fornirebbero prove abbastanza attendibili (reliable). È ben diverso dal comunicare che è stata dimostrata l’inefficacia dell’omeopatia come hanno titolato i giornali che hanno interpretato male tale conclusione.
Queste conclusioni, cosi come la metodologia di lavoro e i criteri di selezione dei lavori scientifici analizzati, sono stati contestati anche da vari esperti nell’ambito di una consultazione durata diversi mesi. Innanzitutto è stato rilevato che il gruppo di lavoro che ha redatto il rapporto ha deciso di focalizzare lo studio prevalentemente su 57 review sistematiche, escludendo molti trial clinici randomizzati e controllati singoli. Questo metodo di lavoro presenta notevoli svantaggi, come hanno riconosciuto gli stessi autori. Primo fra tutti che le review e le metanalisi raggruppano studi con un diverso disegno sperimentale e che generalmente non utilizzano le stesse metodologie omeopatiche. La critica metodologica mossa al report australiano è che per una stessa patologia sono stati considerati lavori che hanno utilizzato trattamenti omeopatici molto diversi. Alcuni di questi sono risultati efficaci e altri no, e questi ultimi hanno finito per inficiare, anche statisticamente, il risultato positivo dei precedenti. Ma questa conclusione, se fosse applicata alla medicina convenzionale, per esempio per valutare l’efficacia di un antibiotico in un’infezione batterica e producesse un risultato negativo, porterebbe a concludere che il trattamento antibiotico è, in generale, inefficace nelle infezioni batteriche, il che è palesemente falso.
Le associazioni di settore avevano chiesto di prendere in considerazione 196 trial clinici randomizzati e controllati (TRC) già pubblicati in letteratura. Di questi 96 erano positivi per l’omeopatia in un’ampia varietà di condizioni cliniche, 88 non avevano raggiunto conclusioni definitive e solo 8 erano negativi. Può essere che la qualità di alcuni di questi lavori fosse bassa o comunque non sufficiente, ma comunque, come hanno ribadito in questi anni diverse revisioni sistematiche della letteratura, consentono di affermare che l’effetto dell’omeopatia è superiore al placebo.
Più in generale si rileva che i criteri di inclusione delle rassegne erano molto rigidi e ciò ha influito sull’esito della ricerca; in particolare:
– sono stati considerati solo i lavori in inglese;
– sono stati esclusi per definizione tutti i trial con meno di 150 soggetti.
Di conseguenza molti studi con una minore numerosità del campione, anche se positivi, sono stati considerati “inaffidabili”. Sono stati inoltre considerati inaffidabili gli studi di buona qualità ripetuti più volte da uno stesso gruppo di ricerca, ma non replicati da gruppi indipendenti e sono stati esclusi studi singoli di buona qualità ma non ancora ripetuti da altri gruppi di ricerca.
Naturalmente in questo tipo di valutazione non si fa nessun cenno sul fatto che anche la medicina convenzionale ha il problema delle prove di efficacia dei suoi trattamenti. Un’analisi pubblicata da BMJ Clinical Evidence condotta su 3000 medicinali abitualmente utilizzati nel trattamento di molteplici malattie evidenzia che il 50% di questi non ha sufficienti prove di efficacia che ne giustifichino l’impiego sulla base dei criteri della medicina basata sull’evidenza (EBM), mentre l’8% dei farmaci ha un’inefficacia provata, o quasi, e solo l’11% ha un’efficacia senza dubbio comprovata.
In altre occasioni, l’obiettivo sostanziale, più o meno dichiarato delle campagne mediatiche, era quello di eliminare le medicine complementari dalle coperture fornite dal Servizio pubblico, come è accaduto in Svizzera dove il tentativo è stato poi sconfessato da un referendum popolare che ha grande maggioranza ha decretato il ritorno dell’omeopatia tra le terapie erogate dal servizio pubblico. Nel caso australiano si tratta invece di porre fine all’accreditamento dei corsi di omeopatia da parte dell’agenzia governativa Tertiary Education Quality Standards Agency (TEQSA) e bloccare il sostegno statale, dal 10 al 39%, ai Fondi assicurativi sanitari privati che includono la copertura delle spese sanitarie omeopatiche.
Alla fine, sempre di soldi si tratta: quelli che guadagnerà “Big Pharma”; quelli che risparmierà il Governo australiano e quelli che dovranno pagare di tasca propria i cittadini/utenti dell’omeopatia.

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